lunedì 15 febbraio 2010

I Racconti di Aldo : Il Percorso Alzheimer 2 di 3

Come promesso, ecco la seconda parte del racconto, domani finalmente sapremo la fine.... Non vedo l'ora!!


Questa è la cosa più difficile da sopportare e capire da parte di chi ama il soggetto. Serve poco dare affetto, comprensione, stare vicini. Di fatto il malato si allontana dalla realtà, non ha più relazioni con le persone che gli stanno vicino. Nel migliore dei casi vuole muoversi continuamente: camminare, camminare sempre.”

Il professore era sdraiato sul divano e guardava fisso nel vuoto. Le sue orecchie sentivano le parole della conversazione, ma di queste ne capiva poche, o meglio poche avevano un effetto sul suo sistema di relazione con l’esterno.
Una parola però mise in moto qualche collegamento mentale. Amare!
Improvvisamente, l’uomo sdraiato sul divano, ebbe la sensazione di poter connettere, o meglio comporre un pensiero. Abbinò la parola amare a comprendere, ad aiutare, a dignità . Infine, senza comunque sviluppare alcun ragionamento, arrivò alla parola morte!
Tutto finì li. Poi improvvisamente la sua mente fu attraversata da alcuni flash.
Una partita a tennis, un bagno in mare, un bacio ad una donna senza un volto definito, un laboratorio, una banca, un supermercato.
“Vede cara signora” continuò il primario, “l’unica cosa che possiamo fare è somministrare a suo padre dei calmanti ed alcune medicine specifiche che non curano la malattia, ma impediscono solo che lui si faccia del male.
Le posso comunque assicurare che suo padre non soffre, non si rende conto di quanto gli sta capitando. Lo terremo ricoverato in questo istituto che è attrezzato allo scopo e voi potrete venire a trovarlo quando vorrete”
La giovane donna non riuscì più a trattenere le lacrime e scoppiò in un pianto dirotto ed incontrollabile.
Quei singhiozzi furono per suo padre, sempre sdraiato sul divano, come un segnale.
L’uomo si alzò di scatto e si voltò verso la figlia con gli occhio privi di espressione diretti verso quelli di lei. Il pianto, i singhiozzi lo portarono indietro nel tempo e la vide piccola piccola quando cercava comprensione tra le sue braccia, le braccia di un padre che sanno proteggere e consolare le difficoltà che angustiano la vita dei bambini.
Si alzò con decisione dal divano, con due passi veloci fu di fronte alla figlia.
Questa ebbe quasi paura per la mossa così repentina di suo padre. In quel momento gli sembrò tornato per miracolo alla normalità. Si alzò a sua volta ed in un attimo gli getto le braccia al collo stringendolo a se con tutto l’affetto di cui era capace.
La cosa, almeno per lui, finì li. L’uomo la respinse con una certa decisione e rimase in piedi guardandosi in giro senza capire che cosa stesse capitando.
Il primario suonò un campanello ed immediatamente entrarono nello studio due robusti infermieri. Ad un suo cenno impercettibile si avvicinarono all’uomo e con decisione, dopo averlo seduto su una sedia a rotelle, lo condussero fuori dalla stanza.
Il professore camminava, reggendosi ad un corrimano di legno, in un giardino dell’istituto in cui era ricoverato.
Il percorso alzheimer.
Tutti camminavano, uno dietro l’altro, senza dire una parola per ore e con qualsiasi tempo. Il percorso consisteva in una sorta di pista ovale lunga una trentina di metri e coperta da una tettoia di plastica trasparente. La pista era circondata da fiori ed ogni tanto c’erano delle panche dove ci si poteva sedere. Erano sempre vuote.
Tutti camminavano ininterrottamente.
Anche il professore camminava e nella mente gli rimbalzava sempre lo stesso ritornello: amare, comprendere, dignità, morte! Al di là delle azioni naturali più o meno controllate, questo era il solo pensiero che gli girava nella mente.
Camminava, mangiava, dormiva e sempre nella sua mente rimbalzavano come palline da tennis queste quattro parole. Questi quattro concetti. Ma la sua anima immortale dove era finita?
La mattinata era piovosa e grigia come spesso capita nei paesi continentali. La figlia del professore portava a scuola le sue bambine che riempivano la macchina di risate e capricci improvvisi. Lei guidava e quasi non le sentiva. Da quando suo padre era migrato nel nulla della vita non era più serena. Certo i genitori ti lasciano per sempre, è il gioco della natura, ma finire in quel modo! Non se ne dava pace. La vita biologica di suo padre continuava a dispetto del totale sfacelo mentale. Che senso aveva!
I suoi pensieri furono bruscamente interrotti dal suono di un clacson. Aveva passato un semaforo con il rosso. Per poco non aveva messo in serio pericolo la vita delle sue figlie e la sua.
Allontanò dalla sua mente i pensieri che l’angustiavano e guidò fino alla scuola delle figlie. Queste baciarono la loro mamma e scesero correndo verso i loro amici che le aspettavano per entrare in classe.
Quel bacio, quella mattina fece alla figlia del professore un effetto particolare. Un bacio,dato anche in fretta, in quel particolare momento la colpì in modo veramente singolare. Un segno di affetto, un segnale di relazione fra persone, il riconoscimento di una situazione basata sul rispetto reciproco tra madre e figli.
Lo scambio tra persone individuabili, riconoscibili. Persone grandi o piccole ma con una cosa in comune: la dignità. Si quella di essere un bambino e quella di essere una donna..
La giovane donna che aveva un cervello sveglio che lavorava anche troppo bene, in tempo reale fece un collegamento con la parola amare che il primario aveva pronunciato in occasione della visita a suo padre.
Improvvisamente abbinò la parola amare ed altre quali comprendere , aiutare dignità ed infine morire.
Si ricordò che proprio alla parola amare, suo padre aveva avuto una reazione. Si era alzato dal divano. Forse era stato un caso o forse no.
Un pensiero si fece strada nella mente. Accoppiò la parola amare con la parola aiutare. Certo aiutare chi si ama. Aiutarlo in tutte le occasioni nel bene e nel male. L’amore non ha ne se ne ma!
Poi sempre più avanti.