martedì 16 febbraio 2010

I Racconti di Aldo : Il Percorso Alzheimer 3 di 3


Finalmente la terza ed ultima parte come promesso..




La sua mente non si fermava. Come poteva aiutare suo padre? Cosa potava salvare di lui?

La memoria dei tempi passati guardandolo camminare nel percorso alzheimer una volta ogni tanto, mentre la sua persona fisica si trasfigurava per la malattia?
No questo era per lei insopportabile. Ma per lui che cosa era insopportabile se non capiva, se non era più in grado di avere relazioni con gli altri?
Presto o tardi sarebbe morto. E dopo cosa sarebbe rimasto di lui se non il ricordo in tutti quelli che gli sarebbero sopravissuti?
Il ricordo di che cosa, di come era o di come non era più? Dell’essere umano con le sue funzioni, le sue passioni, le sue parole, le sue scelte, i suoi errori, o di un ammasso macilento di carne che si trascinava senza perché su di una pista coperta di un istituto per quasi morti?
La sua anima, il suo essere dove erano finiti nell’attesa della morte biologica?. Stavano in attesa di un riscontro ultraterreno?
Lui come avrebbe reagito se avesse visto una persona nelle sue condizioni di non vita, di non amore. Una persona priva non di un braccio a di una gamba, ma del proprio cervello?
Non più persona tra le altre. Cittadino tra i cittadini. Essere tra gli esseri.
La giovane donna stava per cedere di fronte a queste considerazioni che mai gli avevano sfiorato la mente.
Tutto andava bene perché anche nei momenti peggiori della vita era presente a se stessa. Poteva piangere, ridere, amare, maledire, sognare.
Si sentiva nel mondo non con le gambe, le braccia i capelli, ma con la mente. Aveva reazioni di stupore , di comprensione, di amore, di odio. Si sentiva viva, aveva una personalità da mostrare, da difendere. Aveva la dignità di una persona.
Il concetto di dignità, quella situazione che ti pone all’inevitabile giudizio degli altri, fu il punto finale del suo pensare.
Suo padre aveva solo la dignità di uomo da conservare. In quella situazione non gli restava altro. Lei doveva preservagliela!
Si avrebbe aiutato suo padre a conservare la sua dignità di uomo.
Avrebbe praticato su di lui l’eutanasia!
Il pensiero la fece rabbrividire.
Si fece coraggio, lei poteva farlo, era viva, in grado di prendere una decisione anche se fuori dall’ordinario.
Questo possono fare gli esseri umani.
La mattina era tiepida. La primavera stava dando nuova vita alla natura.
La giovane donna arrivò vicino all’istituto e parcheggiò la macchina sotto un albero che stava mettendo le prime foglie.
Con passo sicuro e controllando le emozioni entrò nel giardino dove c’era il percorso alzheimer.
Vide subito quel che restava di suo padre. Un uomo che a fatica camminava reggendosi al corrimano di legno. Lo sguardo vuoto, le spalle curve, le gambe malferme.
Una lacrima le rigò una guancia. L’asciugò in fretta. Non voleva essere vista in quelle condizioni. Restò un attimo ferma a qualche metro dall’ingresso del percorso.
Il professore camminava e nella testa gli rimbalzava la solita cantilena che terminava con la parola morte. Poi un flash. Una corsa in macchina lungo un bel viale alberato che costeggiava il fiume, un cane che gli correva incontro, il sorriso di sua moglie, quindi il buio più totale e la solita cantilena. Ancora flash, ancora la cantilena ed una gamba trascinata davanti all’altra.
La giovane donna si avvicinò a suo padre. Sapeva perfettamente che sarebbe stata l’ultima volta.
Gli si mise di fianco e lo accompagnò, prendendolo per un braccio, a sedersi su di una panchina del percorso.
Lui non ebbe la minima apparente reazione. Gli prese una mano e se la portò alla bocca per darle un lungo bacio.
Suo padre aveva delle bellissime mani. Quelle gli erano state risparmiate dalla feroce malattia.
Ebbe un attimo di esitazione. Se lui viveva, o meglio se la sua vita biologica fosse ancora durata, le avrebbe ancora viste, accarezzate, baciate. Ma suo padre dove sarebbe stato?
No aveva deciso! Aprì la borsa che portava a tracolla e ne estrasse una bottiglia di acqua minerale. Dentro ci aveva messo un potente veleno che si era procurato nel laboratorio dove lavorava da qualche tempo. La morte sarebbe stata veloce ed indolore.
Avvicinò la bottiglia alla bocca del padre, che non era più in grado di bere da solo.
L’uomo girò gli occhi verso la figlia ed iniziò a bere a piccoli sorsi. In quello che restava della sua mente il ritornello si ripeteva, ma sempre più lentamente, più lentamente. Amare, comprendere, aiutare,dignità ma,l’ultima volta, il ritornello non finì con la parola morte, bensì con libertà.
L’uomo reclinò il capo e la figlia con dolcezza infinita gli chiuse gli occhi accarezzandogli il viso.


Aldo Cavalli
Marina di Pisa febbraio 2010

2 commenti:

  1. Ciao Varo ho riletto ancora una volta con grande emozione questo racconto fino alla fine ed è veramente intenso. Tutte le volte che lo leggo penso a quello che mi ha detto Aldo quando lo a scritto ed al suo sguardo quando mi raccontava quello che aveva visto durante la sua visita all'istituto e......... alla mia promessa!
    Ciao Vale.

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  2. ..mi sono emozionata..un racconto coinvolgente,toccante..mariposa

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